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06 nov 2025

Cripto 2025: nuova tassazione e rivalutazione
pubblicato da: Web Master

Cripto 2025: nuova tassazione e rivalutazione

La Legge di bilancio, ormai definitiva, apporta diverse novità alla tassazione delle cripto-attività per l’anno 2025 e poi, a regime, dal 2026

Lo scorso 28 dicembre 2024 è stata approvata anche dal Senato, senza apportare modifiche, la Legge di bilancio per l’anno 2025, la quale è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 31 dicembre 2024 con il nome di Legge numero 207 “Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2025 e bilancio pluriennale per il triennio 2025-2027”, in vigore dal giorno 1 gennaio 2025.

Tra le numerose novità presentate dalla Legge 207/2024 (per un approfondimento è possibile leggere l’articolo (Legge di bilancio 2025: sintesi delle novità), ai commi da 23 a 29 dell’articolo 1 ce ne sono diverse che riguardano le criptovalute o, per meglio dire, le cripto-attività, secondo l’espressione più generica utilizzata dal legislatore.

La tassazione delle criptovalute era stata normata di recente, nel 2022, con primo anno di applicazione l’anno fiscale 2023, inserendo nel TUIR il nuovo articolo 67 comma 1 lettera c-sexies, il quale prevedeva l’applicazione di una imposta sostitutiva del 26% sulle “plusvalenze e gli altri proventi realizzati mediante rimborso o cessione a titolo oneroso, permuta o detenzione di cripto-attività, comunque denominate, non inferiori complessivamente a 2.000 euro nel periodo d'imposta”.

Quella dei duemila euro costituiva una soglia (non franchigia, a riguardo si può leggere l’articolo Criptovalute: la plusvalenza di 2 mila euro è soglia, non franchigia), sotto la quale le plusvalenze non concorrevano alla formazione del reddito.

Come anticipato, la Legge di bilancio per l’anno 2025, la Legge 207/2024, ai commi da 23 a 25 prevede:

  • per l’anno fiscale 2025 l’applicazione di una imposta sostitutiva del 26% sui redditi diversi derivanti dall’alienazione di cripto-attività;
  • l’innalzamento di tale aliquota al 33% con decorrenza dal giorno 1 gennaio 2026;
  • l’eliminazione, già dal giorno 1 gennaio 2025, della prima prevista soglia di non imponibilità di 2.000 euro.

L’eliminazione della soglia di non imponibilità comporterà che saranno soggette a tassazione e ai relativi obblighi dichiarativi anche le plusvalenze di più modesto importo, che possono interessare coloro che detengono criptovalute senza una effettiva e sostanziale finalità speculativa.

In conseguenza delle modifiche normative apportate dalla Legge 207/2024, il regime di tassazione delle cripto-attività cambierà da subito nell’anno fiscale 2025, il quale si configurerà però come un periodo di passaggio, per poi arrivare alla tassazione definitiva a partire dal 2026:

  • tassazione fino al 2024: imposta sostitutiva del 26% e soglia di non imponibilità di 2.000 euro nel periodo di imposta;
  • tassazione 2025 (transitoria): imposta sostitutiva del 26%, senza soglia di non imponibilità;
  • tassazione dal 2026 (a regime): imposta sostitutiva del 33%, senza soglia di non imponibilità.

La nuova rivalutazione

In concomitanza con la modifica del regime di tassazione, la Legge 207/2024 ai commi da 26 a 29 dell’articolo 1 prevede una nuova rivalutazione onerosa dei valori fiscali.

Con maggiore precisione, è prevista la possibilità per il contribuente di assumere, ai fini del calcolo delle plusvalenze imponibili, come definite dall’articolo 67 comma 1 lettera c-sexies del TUIR, il valore delle cripto-attività alla data del giorno 1 gennaio 2025, in luogo del costo o del valore di acquisto.

La misura fondamentalmente ripropone la precedente rivalutazione onerosa, già prevista quando era stata normata per la prima volta la tassazione delle cripto-attività, ma con una differente aliquota.

La rivalutazione, da effettuarsi nell’anno fiscale 2025, sarà onerosa, prevedendo l’applicazione di una imposta sostitutiva del 18%, da versarsi entro il 30 novembre 2025, in una o più rate, fino ad un massimo di tre. Fermo restando che, sulle rate successive alla prima, si applicherà un tasso di interesse del 3% annuo, da versarsi contestualmente alla rata.

È precisato che la rivalutazione onerosa non consente il realizzarsi di minusvalenze utilizzabili.

06/11/2025

29 ott 2025

Fisco: da oggi sequestrabile anche la prima casa!
pubblicato da: Web Master

Fisco: da oggi sequestrabile anche la prima casa!

La Cassazione ha confermato la legittimità del sequestro preventivo per reati tributari anche su beni intestati a terzi e sulla casa di abitazione, chiarendo i limiti alla tutela della “prima casa”Con la sentenza n. 34484 del 22 ottobre 2025, la Corte di Cassazione si è pronunciata sulla legittimità del sequestro preventivo, finalizzato alla confisca, di beni mobili e immobili nella disponibilità dell’indagato per reati tributari.
La pronuncia, che trae origine da un procedimento cautelare avviato dal Tribunale di Rovigo, affronta due questioni di rilievo. La prima attiene alla possibilità, per l’indagato, di impugnare il sequestro di beni non formalmente di sua proprietà. La seconda, invece, riguarda la tutela della c.d. “prima casa” rispetto alle misure cautelari patrimoniali disposte in sede penale.

La controversia nasce nell’ambito di un’indagine per violazioni fiscali ai sensi dell’art. 2 della legge reati tributari, riguardanti dichiarazioni fraudolente mediante uso di fatture per operazioni inesistenti.
L’indagato aveva impugnato il decreto di sequestro preventivo disposto nei suoi confronti, che riguardava un’autovettura intestata alla moglie e un conto corrente riconducibile a una società terza, oltre a un immobile cointestato con il coniuge, adibito a residenza familiare.

Il Tribunale di Rovigo aveva, tuttavia, dichiarato inammissibile l’istanza di riesame per la parte relativa ai beni intestati a terzi e l’aveva rigettata per il resto, ritenendo legittimo il vincolo cautelare anche sull’immobile di residenza.
Contro tale decisione il difensore dell’indagato proponeva ricorso in Cassazione, fondato su due motivi, ovvero:

  • la violazione dell’art. 324 del c.p.p., in quanto l’indagato, sebbene non fosse proprietario dei beni, avrebbe avuto comunque un interesse a contestare la misura, trattandosi di beni sottratti al nucleo familiare;
  • la violazione dell’art. 76 delle disp. risc. imp. redditi, comma 1, lett. a), che vieta l’espropriazione dell’unico immobile di proprietà del debitore, sostenendo che tale principio dovesse valere anche nel procedimento penale, a tutela della c.d. “prima casa”.


La Suprema Corte ha rigettato integralmente il ricorso, confermando la decisione del Tribunale e fornendo chiarimenti su due questioni centrali.

Con riferimento al primo motivo, la Cassazione ha ricordato che, di recente, le Sezioni Unite della Corte si sono pronunciate circa la legittimazione dell’indagato a impugnare il sequestro di beni non propri (cfr. informazione provvisoria n. 15/2025). Secondo tale orientamento, “la persona sottoposta ad indagini può proporre richiesta di riesame ove alleghi un interesse concreto ed attuale correlato agli effetti della rimozione del sequestro sulla sua posizione”.
Ebbene, nel caso di specie, l’interesse (ossia la semplice restituzione di beni appartenenti a soggetti terzi o al coniuge) è stato giudicato insufficiente, poiché volto soltanto al ripristino del patrimonio familiare e non incidente in modo diretto sulla posizione giuridica dell’indagato.

Quanto al secondo motivo, relativo al vincolo sull’immobile adibito ad abitazione principale, la Corte ha dichiarato che, secondo l’orientamento maggioritario della stessa giurisprudenza di legittimità, il limite all’espropriazione immobiliare previsto dall’art. 76, comma 1, lett. a), del D.P.R. n. 602/1973 vale solo nei confronti dell’Erario e unicamente per debiti tributari, non anche nei confronti dello Stato quando questo agisce per confiscare il profitto di un reato. Inoltre, la norma non tutela genericamente la “prima casa”, bensì l’unico immobile di proprietà del debitore, che è un concetto diverso e più restrittivo.

Un’ulteriore differenza attiene alla finalità della misura. Nel procedimento tributario si agisce per riscuotere un credito, mentre in ambito penale l’obiettivo è colpire il vantaggio economico derivante dal reato. Quando il profitto illecito non è più disponibile, il giudice può disporre la confisca per equivalente, cioè aggredire altri beni di valore corrispondente appartenenti all’imputato, inclusa l’abitazione. La Cassazione ha quindi ribadito che la casa, pur se lecitamente acquistata, può essere sequestrata se il suo valore corrisponde al guadagno ottenuto con l’evasione fiscale.
A supporto della decisione, la Suprema Corte richiama anche l’art. 2740 del c.c., per cui il debitore risponde delle proprie obbligazioni con tutti i beni presenti e futuri, salvo i casi specificamente previsti dalla legge.

30/10/25

29 ott 2025

Arriva il Gemello Digitale della casa
pubblicato da: Web Master

Arriva il Gemello Digitale della casa.

Il seguente articolo dimostra quanto avessi avuto ragione parlando proprio del gemello digitale (digital twin) della casa nel mio libro "Apocalisse green ". Attacco a casa e proprietà privata", anticipando questa tematica che prevede il controllo della vostra abitazione da remoto....  Qui sotto riporto la notizia che ovviamente fa notare i lati positivi ma fate parecchia attenzione a comprenderne il vero significato... quello che ho ben descritto nel mio libro sopra citato... e tutto a norma di legge!

Una tecnologia sviluppata dalla startup italiana TaDa trasforma i dati dei contatori in un digital twin dell’abitazione: monitora i consumi di ogni elettrodomestico e suggerisce via app come ottimizzarli

Ogni mese le bollette raccontano una storia che spesso non conosciamo: quella dei nostri consumi nascosti, degli sprechi invisibili e degli elettrodomestici che lavorano più del necessario. La tecnologia ci permette oggi di intervenire senza installare nuovi dispositivi, né cambiare le proprie abitudini. Basta sfruttare quello che già c’è – i contatori intelligenti di seconda generazione – per trasformare ogni abitazione in un organismo capace di risparmiare energia e ridurre le emissioni. A renderlo possibile è TaDa, una giovane realtà italiana attiva da gennaio 2025, che ha sviluppato una tecnologia proprietaria in grado di creare il «digital twin» dell’edificio, ovvero una copia digitale che ne rileva in tempo reale l’impronta energetica e suggerisce come ottimizzarla.

Come risparmiare

Il principio è semplice: analizzando i dati che passano attraverso i contatori, il sistema riesce a riconoscere i consumi di ogni singolo elettrodomestico, individuare sprechi e malfunzionamenti e inviare alert mirati agli utenti tramite app. Un frigorifero che consuma troppo o una lavatrice che funziona male possono pesare fino al 30% sulla bolletta familiare – pari a circa 400 euro l’anno – senza che nessuno se ne accorga. TaDa lo segnala in modo da intervenire subito.
«Il nostro obiettivo è duplice: aiutare i fornitori di energia a migliorare la relazione con i clienti e permettere a questi ultimi di conoscere davvero come utilizzano l’energia», spiega Stefano Fumi, co-fondatore e amministratore delegato. «Grazie alla più avanzata infrastruttura di contatori intelligenti al mondo – quella italiana – partiamo da un vantaggio competitivo unico. Da qui vogliamo espanderci in tutta Europa, contribuendo a un uso più consapevole e intelligente delle risorse».

Reclami e mercato

I benefici non si fermano al portafoglio. Creando un gemello digitale della casa, la tecnologia permette di monitorare l’efficienza complessiva dell’abitazione e di migliorarne la sicurezza. L’app associata consente di controllare i consumi in tempo reale, ricevere notifiche se un elettrodomestico è rimasto acceso, o suggerimenti per sostituire apparecchiature obsolete. E può anche registrare abitudini d’uso anomale, segnalando variazioni utili per il monitoraggio di anziani o persone fragili.
Fumi assicura che con il modello sviluppato da TaDa i fornitori di energia possono anticipare problemi di sovraconsumo e ridurre drasticamente i reclami («circa l’80% delle chiamate ai call center energetici sono correlate a problematiche di fatturazione»), le compagnie assicurative possono ottenere dati preziosi per valutare i rischi domestici, le banche integrarli nelle analisi per mutui «green», i produttori di elettrodomestici migliorare i propri prodotti. Tutto questo in un mercato potenziale enorme: oltre 30 milioni di abitazioni in Italia e 200 milioni in Europa, per un settore dell’efficienza energetica che vale già 560 miliardi di dollari a livello globale e 85 miliardi di euro nel nostro Paese.
Il percorso della startup, sostenuta da investitori come Italian Founders Fund e Nextalia Ventures, è appena iniziato ma appare promettente. Con una valutazione di 20 milioni di euro prima ancora dell’avvio delle vendite e un primo round di finanziamento da 1,9 milioni, TaDa si prepara a scalare il mercato europeo. «Siamo partiti da poco - conclude Fumi - ma i risultati ci confermano che stiamo andando nella direzione giusta».

25/10/25

18 ott 2025

Legge: pignoramenti a chi non pagherà le bollette
pubblicato da: Web Master

Legge: pignoramenti a chi non pagherà le bollette

Pignoramenti rapidi di casa e conto corrente per chi non paga le bollette: la proposta della Lega

Lavori in fase conclusiva per il disegno di legge sulla riscossione dei debiti voluto dal Carroccio. La maggioranza di governo ha già dato il via libera a tutti gli emendamenti. Manca solo il voto finale della commissione Giustizia al Senato, per poi inviare il testo al Parlamento. Potrebbe entrare in vigore tra la fine del 2026 e l'inizio del 2027. Cosa cambierebbe in concreto

L'obiettivo è quello di dare il via libera ai pignoramenti per chi non paga le bollette, senza passare da un giudice. E quindi con una procedura più rapida. Si tratta di una proposta di legge a prima firma Lega (senatrice Erika Stefani, qui il testo). Ci siamo quasi, perché l'iter previsto procede speditamente. Il disegno di legge sulla riscossione dei debiti non è ancora stato approvato in commissione Giustizia al Senato, ma i lavori sono in fase conclusiva e la maggioranza di centrodestra ha già approvato tutti gli emendamenti. Al provvedimento in questione manca quindi solo il voto della commissione per poi mandare il ddl in Parlamento, prima al Senato e poi alla Camera. Un percorso legislativo comunque abbastanza lungo, per cui il "lasciapassare" finale non è questione di poche settimane. Di fatto, però, il progetto di riforma c'è.

In sostanza, si tratta di una proposta che introduce un meccanismo che permetterebbe ai creditori di ottenere un pignoramento senza passare dal giudice. Chi ha debiti di quasi qualunque tipo - dalle bollette arretrate fino ai prestiti da società finanziarie o conti insoluti, tranne i mutui bancari - potrebbe ricevere una lettera dall'avvocato del creditore e, se non risponde entro 40 giorni, vedere i propri beni o conti pignorati. Il tutto senza un controllo esterno da parte dello Stato o di un tribunale.

Pignoramento automatico dopo 40 giorni dall'intimazione

Secondo i promotori della Lega, l'obiettivo è snellire una procedura oggi considerata "farraginosa e poco funzionale". Attualmente, infatti, il creditore deve rivolgersi a un giudice civile o di pace per ottenere un decreto ingiuntivo e solo dopo può procedere al pignoramento. Con la riforma, quel passaggio verrebbe saltato: sarebbe l'avvocato, su incarico del creditore, a inviare "un'intimazione di tipo monitorio", allegando le prove del debito. Se il debitore non si oppone entro 40 giorni, scatterà automaticamente l'esecuzione forzata.

Esclusi i mutui con le banche, non i crediti finanziari

La nuova procedura riguarderebbe solo i debiti di competenza del giudice di pace, ossia quelli fino a 10mila euro, e non includerebbe i mutui bancari. Secondo quanto emerso finora, il disegno di legge però non esclude i crediti finanziari, agevolando così gli intermediari e le società di recupero crediti, ma lasciando "scoperte" le famiglie. Il testo prevede inoltre che la responsabilità per eventuali abusi ricada sull'avvocato del creditore, che potrà essere sanzionato dal proprio ordine professionale o chiamato a rispondere civilmente dei danni causati. Ma non sono previsti controlli pubblici o interventi preventivi.

Dubbi e tempi

Anche se non ancora approvata, la proposta di legge potrebbe sollevare dubbi di costituzionalità e ha già ricevuto la contrarietà delle associazioni dei consumatori, preoccupate per i rischi di truffe e per la vulnerabilità dei cittadini meno informati. Come detto, dopo il voto in commissione Giustizia il testo dovrà passare al Senato e poi alla Camera. Considerando l'avvio imminente dei lavori sulla manovra finanziaria, difficilmente la riforma sarà calendarizzata prima della fine del 2025.

Anche in caso di approvazione, il ministero della Giustizia avrebbe sei mesi di tempo per emanare il decreto attuativo. Le nuove regole, dunque, non entrerebbero in vigore prima della fine del 2026 o, più realisticamente, nel 2027.


18/10/2025

16 ott 2025

Crypto 2026. Il fisco traccia e multe salate
pubblicato da: Web Master

Crypto 2026. Il fisco traccia e multe salate

Dal 2026, l'Agenzia delle Entrate riceverà automaticamente dati dettagliati su tutte le operazioni cripto degli italiani, grazie a una nuova direttiva europea. Chi pensava di muoversi ancora in una zona grigia dovrà ricredersi: arrivano controlli serrati, multe salate e persino il blocco degli account per chi non collabora. Ecco nel dettaglio cosa si rischiaIl governo italiano ha dato il via libera allo schema di decreto che recepisce la direttiva UE 2226/2023, meglio conosciuta come Dac 8. Si tratta di una vera e propria rivoluzione nel panorama della fiscalità europea, pensata per chiudere definitivamente ogni varco attraverso cui potrebbe sfuggire materia imponibile. Fino a questo momento, gli Stati membri dell'Unione Europea potevano scegliere discrezionalmente solo due categorie di reddito da comunicare agli altri Paesi. Questa flessibilità ha creato, nel tempo, evidenti squilibri e opportunità di evasione. Dal primo gennaio 2026, invece, la trasmissione automatica dei dati diventa obbligatoria e riguarda praticamente tutte le fonti di reddito principali: dagli stipendi alle pensioni, dai compensi dei dirigenti alle rendite delle polizze vita, fino alla proprietà e ai redditi generati da beni immobili.Ma la vera novità riguarda le cripto-attività, che per la prima volta entrano a pieno titolo nel sistema di reporting fiscale europeo. L'obiettivo dichiarato è quello di garantire piena tracciabilità anche nei settori più innovativi e digitalizzati, impedendo che la tecnologia possa diventare uno schermo dietro cui nascondere ricchezza o movimenti finanziari rilevanti. Si chiude, così, un'epoca in cui le criptovalute potevano muoversi in un limbo normativo, e si apre una fase di controllo capillare e coordinato.

Perché proprio le criptovalute finiscono nel mirino Per anni le criptovalute hanno rappresentato una sorta di far west digitale dal punto di vista fiscale. La loro natura decentralizzata, la velocità delle transazioni e l'assenza di intermediari tradizionali le hanno rese difficili da monitorare con gli strumenti classici dell'amministrazione finanziaria. Ogni Paese ha adottato regole diverse, creando un mosaico normativo frammentato che ha inevitabilmente facilitato comportamenti elusivi o evasivi.La direttiva Dac 8 interviene proprio per uniformare il quadro e imporre standard comuni a tutta l'Unione Europea. Dal primo gennaio 2026, gli exchanger di criptovalute - cioè le piattaforme che permettono di comprare, vendere o scambiare asset digitali - saranno obbligati a comunicare all'Agenzia delle Entrate una serie di informazioni molto dettagliate sui propri utenti. Non si tratta di dati generici: dovranno essere trasmessi i dati anagrafici completi, i codici fiscali, la residenza fiscale dichiarata e, soprattutto, tutte le operazioni effettuate, inclusi acquisti, vendite, trasferimenti e pagamenti.Il livello di dettaglio richiesto supera di gran lunga quello previsto dal Common Reporting Standard (CRS), lo standard internazionale per lo scambio automatico di informazioni finanziarie, e va persino oltre le raccomandazioni del Gafi, l'organismo che si occupa di prevenire il riciclaggio di denaro e il finanziamento del terrorismo. In pratica, chi utilizza criptovalute sarà tracciato con la stessa precisione con cui, oggi, viene monitorato chi ha un conto corrente bancario tradizionale.

Sanzioni pesanti e blocchi operativi per chi non si adegua

La nuova normativa non si limita a imporre obblighi: prevede anche un sistema di sanzioni molto severo per garantire che le regole vengano effettivamente rispettate. Tutti gli operatori che forniscono servizi legati alle cripto-attività dovranno, prima di tutto, ottenere l'autorizzazione prevista dalla normativa MiCAr (Markets in Crypto-Assets Regulation, regolamento UE n. 2023/1114) entro il 31 dicembre 2025. Questa scadenza vale sia per chi vuole entrare nel mercato, sia per chi è già attivo secondo le regole italiane dell'Oam (Organismo Agenti e Mediatori). Una volta autorizzati, gli exchanger saranno tenuti a condurre un'adeguata verifica fiscale e antiriciclaggio su tutti i clienti, raccogliendo e aggiornando costantemente i loro dati fiscali, ottenendo autocertificazioni valide e verificando la correttezza delle informazioni trasmesse. Chi non rispetta questi obblighi rischia sanzioni pecuniarie che vanno da 1.500 a 15.000 euro per ogni singola violazione e, poiché le multe sono cumulabili, gli errori ripetuti possono tradursi in esborsi davvero consistenti.Ma non sono solo gli operatori a essere coinvolti: anche gli utenti hanno precise responsabilità. Se un cliente ignora due solleciti consecutivi inviati dalla piattaforma per fornire o aggiornare le proprie informazioni fiscali, la sua operatività verrà bloccata. Non potrà più comprare, vendere o trasferire criptovalute fino a quando non avrà regolarizzato la propria posizione. Si tratta di un meccanismo di responsabilità condivisa pensato per incentivare la massima collaborazione da entrambe le parti. La strategia è chiara: rendere impossibile operare nel mercato delle criptovalute senza essere completamente trasparenti verso il Fisco. Chi sperava di continuare a muoversi nell'ombra dovrà fare i conti con una realtà ben diversa.

Cosa devono fare ora operatori e investitoriIl margine di tempo per adeguarsi alle nuove regole è molto stretto. I prestatori di servizi per cripto-attività devono muoversi rapidamente su tre fronti: richiedere l'autorizzazione Micar entro dicembre 2025, aggiornare i propri sistemi informatici per essere in grado di raccogliere e gestire i dati fiscali richiesti, e prepararsi a trasmettere annualmente tutte le informazioni a partire dal 2026. Non si tratta di adempimenti banali: richiedono investimenti tecnologici, formazione del personale e una revisione completa dei processi operativi.Un aspetto particolarmente delicato riguarda la classificazione delle cripto-attività, che non sono tutte uguali dal punto di vista normativo. La normativa Micar distingue almeno due categorie principali: gli EMT (Electronic Money Tokens), assimilabili a moneta elettronica e che rientrano nel regime CRS, e gli ART (Asset Referenced Tokens), legati al valore di uno o più asset sottostanti e che seguono invece le regole del Carf (Crypto-Asset Reporting Framework). Questa distinzione è importante perché comporta regimi di trasmissione dati differenti, e un errore di classificazione potrebbe causare problemi fiscali sia all'intermediario che agli utenti.Anche gli investitori e gli utilizzatori di criptovalute devono prepararsi al cambiamento. È necessario che forniscano informazioni fiscali corrette e aggiornate alle piattaforme che si utilizzano, che rispondano tempestivamente a qualsiasi richiesta o sollecito ricevuto, e che tengano una traccia ordinata di tutte le operazioni effettuate.

16/10/2025